Marialúcia Dettori, Sassari e la Sardegna in Brasile

Una donna figlia dell’emigrazione che non si arrende e che vuole tornare nella terra della sua famiglia. Intervista realizzata da Fabritziu Dettori

Marilúcia Dettori

Sassari (Sardigna) – Belo Horizonte (Brasile). L’emigrazione sarda è un fenomeno uguale, per certi versi, a quello verificatosi con la Prima Guerra mondiale. Ogni famiglia della Sardegna è stata coinvolta, qualcuna ha sofferto più dell’altra, qualcuno è rientrato, qualcuno no, qualcuno ancora desidera, dopo una vita da “esule”, da provvisorio, di rientrare nella propria terra. Non vogliamo farvi piangere, e se qualcuna, qualcuno, vorrà farlo, «Ecco il mio fazzoletto […] Signora, usi il suo furore per denunciare la farsa del politicante», come diceva la poetessa cilena Violetta Parra. Consigliamo, dietro queste parole, di indirizzare quel sentimento in operazioni di sostegno verso i sardi emigrati in modo che non si sentano dimenticati e verso quei giovani che ancora oggi lasciano, a migliaia, la Sardegna con parole amare: “Questa terra non mi sta dando niente”. Bisogna far prendere coscienza che questa condizione non è stata voluta da nostra madre Sardegna, ma dalla sottomissione coloniale, e auto-coloniale, di cui soffre la nostra Isola. Forse basterà ricordare l’oro di Furtei, in cui è stato sottratto quel metallo prezioso lasciando in cambio alla Sardegna soltanto, di fatto, un paesaggio lunare fosforescente, inquinato dal mercurio; le basi militari, o i recenti pannelli solari “ecologici”, le pale eoliche, che rendono sterili aree una volta produttive in cambio di qualche spicciolo. Una situazione che non dà prospettive morali, figuriamoci di lavoro. Forse la storia che stiamo per raccontare riesce, in qualche modo, a rovesciare le cose. È la storia di una donna emigrata di seconda generazione che dice «Io sono sarda» e che lotta per rendere concreti i desideri dei suoi nonni, e che grida ai giovani sardi. «Io voglio rientrare!».

Lei è Marilúcia Dettori, nipote di Giuseppe Dettori, figlia di quella emigrazione originata dalla grave crisi economica, e sociale, di fine Ottocento tra l’Italia e la Francia. La Sardegna con questo Paese aveva ottimi rapporti commerciali, gli vendeva vino, pellame, carne, formaggio, bestiame, ma l’Italia del governo Crispi nel 1887, disinteressandosi completamente di ciò che poteva causare alla Sardegna, ruppe i rapporti commerciali con la Francia. Prima di quella infelice decisione politica Martin Clark, nel saggio La storia política e sociale in “L’Età contemporanea” (Jaca Book, 1990), scrive: «Ogni settimana lasciavano Porto Torres per Marsiglia quattro o cinque navi cariche di vino, olio d’oliva e bestiame». Si pensi che solo nel solo 1883 venivano esportati nel paese d’Oltralpe 26mila capi di bestiame. L’Italia causò alla Sardegna un crollo economico devastante e, di conseguenza, un grave spopolamento. Lo storico Francesco Casula dice che «100mila emigrati che si divisero tra l’Europa, il continente africano, e le Americhe, soprattutto in Argentina». Questa è la situazione storica in cui si trovò il nonno della nostra amica Marilúcia, anzi Lucinha. Una donna determinata fin da piccola, dal carattere sardo di una volta, una persona che ha voluto riscattarsi, recuperando, in primis, il proprio cognome, e avere successo. Ci è riuscita. E ha ritrovato sé stessa grazie anche a un racconto tutto sassarese.

Ciao Lucinha, ci vuoi raccontare un po’ di te, della tua storia?
«Saluti a tutti. Per la comunità italiana in Brasile sono conosciuta come Lucinha Dettori. Sono nata il 12 settembre 1948 a Belo Horizonte, Minas Gerais, Brasile. Fin da piccola, nel 1958, ho iniziato a interessarmi all’origine del mio cognome Heitor e alla storia dei miei nonni paterni. Sono la più piccola di una famiglia di dieci fratelli, padre sardo e madre portoghese. Come gli altri fratelli, a dodici anni, andai a lavorare in una fabbrica che produceva manufatti per le feste, e nel pomeriggio frequentavo le scuole elementari. A quindici anni mi iscrissi, da sola, a diversi altri corsi professionali e, nel 1964, periodo della dittatura militare in Brasile, sono stata selezionata per ricoprire il ruolo di segretaria e stenografa presso il Sindacato degli Impiegati delle Costruzioni Civili. Nel 1976 mi sono iscritta all’Università del Turismo e dell’Ospitalità. Così ho iniziato la mia carriera da laureata in scienze del turismo, lavorando in diversi enti governativi sviluppando progetti di promozione del turismo, e anche nel campo dell’ispezione e della classificazione degli hotel. Dal 1999 sono in pensione».

Quando inizia la ricerca delle origini della tua famiglia sardo-brasiliana?
«Da quando sono andata in pensione ho potuto dedicare più tempo alla mia famiglia e riprendere la ricerca sulle mie radici europee: ho impiegato 44 anni per ritrovare l’ultimo documento, l’atto di nascita di mio padre. Iniziai, quindi, ad organizzare la stesura del mio libro sui miei parenti sardi con il primo documento rinvenuto all’Hospedaria das Flores, un’isola in cui era situato il centro di “raccolta”, dove furono prelevati i miei nonni, Giuseppe Dettori e Vittoria Scano, dopo essere sbarcati dal piroscafo Aquitaine, nel porto della città di Rio de Janeiro nell’agosto del 1896, insieme a centinaia di altri stranieri. Da qui poterono soggiornare solo per una settimana, essendo obbligati a lasciare questo rifugio dopo tale periodo.
I miei nonni furono mandati nella città di Juiz di Fora, Minas Gerais, più precisamente a soggiornare nel centro per immigrati di Horta Barbosa, nella quale ho trovato, oltre ai documenti dei miei nonni, anche i documenti di altri Dettori (se parenti, non posso dire …), con la nota che erano partiti una settimana prima dell’arrivo dei miei nonni paterni, in una località non menzionata nei documenti, la stessa annotazione che ho trovato nel registro di partenza dei miei nonni, datata 15 settembre 1896.
Passarono vari anni, finché scoprii che erano tornati, qualche mese dopo, da chissà quale luogo sconosciuto del Minas Gerais alla città di Rio de Janeiro, dove erano sbarcati dalla Sardegna. Dalla nostra terra portando con sé solo una valigia di cartone e una bottiglia d’acqua per la primogenita, la figlia Anna Maria, nata a Sassari nel 1891.
La famiglia si è poi stabilita a Rio de Janeiro, dove sono nati e cresciuti altri figli, Nicola, Giovannina, Maria Annita. La stessa città nella quale nacque mio padre, Gaetano Dettori, nel 1907. E così si è formata la famiglia discendente degli immigrati Sardi di Giuseppe Dettori e Vittoria Scano in Brasile.
Ho deciso, quindi, di mettere sulla carta, l’intricata storia dei miei antenati sardi, con il supporto di diversi amici sassaresi, conosciuti attraverso i social, che mi hanno aiutato in modo utile a raccontare anche le varie storie curiose e pittoresche di alcuni comuni di Sardegna. Alla fine, gli scritti sono diventati quel libro. È in portoghese, e conta 300 pagine. È difficile però stamparlo per gli alti costi. Io sono l’autrice e dovrei fare pure l’editore, indipendente, ma non ho che le mie scarse risorse».

Parlaci del libro.
«Il libro è un riassunto della genealogia della mia famiglia sarda, e anche un po’ della storia di Sassari e della Sardegna in generale. Ho incluso, quindi, alcuni capitoli come autobiografia, dove parlo della vita della seconda generazione di sardi. Il libro ha 300 pagine, come dicevo, e documenti fotografici interessanti. È in portoghese e aspetta qualcuno che voglia tradurlo in italiano e/o sassarese. Nel 2016 ho curato 50 copie della prima edizione e l’ho portata a Sassari per regalarla ai miei collaboratori sassaresi».

Sei riuscita a recuperare e ottenere una cosa a te molto importante…
«Per fortuna, a 75 anni, ho già realizzato il mio sogno di correggere tutti i nomi e cognomi dei miei antenati, dando loro il dovuto riconoscimento come discendenti dei sardi, nonché di rettificare la mia identità inserendo il cognome sardo Dettori. Adesso, in possesso di tutta la documentazione legale, spero che mi venga riconosciuta presto la mia cittadinanza italiana, tramite Consolato da Belo Horizonte, dove abito, e rendere così realizzata quest’ultima tappa del mio progetto di vita: quella di vivere nella terra dei mie nonni, un semplice omaggio per loro, che mai sono riusciti a tornare nella loro amata Sardegna e che, nonostante tutto, anche a 13mila chilometri di distanza in terra straniera, non hanno mai dimenticato le proprie origini».

Tuo nonno che lavoro svolgeva in Sardegna? E quello di tuo padre in Brasile?
«Mio nonno lavorava nella sua vigna con il fratello, Angelo Dettori, a Ittiri. In Brasile, non adattandosi a lavorare nelle piantagioni di caffè, divenne muratore, un mestiere che proseguì anche a Belo Horizonte. Il mio Babbo era domatore di cavalli nella fattoria dei miei avi paterni portoghesi, Francisco Candido do Amaral e Josina Petronilha Azambuja. Mia madre si chiamava Geralda Maria Amaral ed era maestra. Mio padre dopo il matrimonio, si trasferì a Belo Horizonte e divenne elettricista nella manutenzione dei treni».

Tuo padre in quale lingua ti parlava?
«Mescolato, portoghese e italiano».

Oggi, se sei registrata in Brasile come Dettori il merito è solo tuo, e tutti noi ti ringraziamo per la tua lotta.
«Diciamo che è stata la mia resilienza, e il supporto di tante altre persone che ho incontrato lungo questo instancabile viaggio, sia in Sardegna che in Brasile, senza le quali, penso, sarebbe stato più difficile portare a termine questo mio progetto».

Sulla tua pagina social ho visto che in copertina c’è la Fontana di Rosello, cosa significa per te?
«Questo è il capitolo commovente del mio libro, “Lagrimas por Rosello”, nel quale spicca il bel dipinto di Roberto Luiu, che racconta una bellissima storia d’amore e di orgoglio, di una giovane emigrante, e dei suoi ricordi quando andava a prendere l’acqua alla Funtana di Ruseddu. Questo fu l’unico ricordo di Sassari che mia nonna Vittoria conservò fino alla morte. Lei la raccontava spesso e la raccontava con il fascino di una favola».

Che informazioni hai di Sassari?
«Fabritziu, la Sardegna non sta vivendo il suo momento migliore, nonostante sia la seconda isola più grande del Mediterraneo e conosciuta in tutto il mondo come una delle migliori destinazioni del turismo internazionale. Ma il paradiso incantato ha anche i suoi gravi problemi economici, politici e d’immigrazione, come altri Paesi del mondo. Però, uno dei problemi più preoccupanti in questo momento, così come in diversi paesi europei, è l’aumento della popolazione anziana a fronte dell’esodo della popolazione giovane verso altri Paesi, alla ricerca di migliori condizioni di vita. I governi non si impegnano a creare un progetto di sviluppo, soprattutto nel campo tecnologico, per questa vasta forza lavoro giovane e inattiva.
Il tema attuale, in questo momento, è l’offerta di euro per la costruzione e la ristrutturazione di case, e attività commerciali nelle località con meno di 3mila abitanti. Tuttavia, le persone o le famiglie con bambini più piccoli, e anche i pensionati più anziani, ci pensano due volte prima di intraprendere questo progetto, poiché nella maggior parte dei casi questi centri non dispongono che di poche o nessuna infrastruttura di base, come ospedali, scuole, banche, commercio e tempo libero. Investire innanzitutto nell’istruzione e nei settori dell’industria farmaceutica, nelle energie rinnovabili, senza invasione, nella comunicazione e dell’agroalimentare, non sarebbe una cosa a cui pensare?».

Per realizzare il sogno di vivere «gli ultimi giorni della tua vita a Sassari», vorrà dire allontanarti dalla tua famiglia attuale…
«Caro Fabritziu, oggi la mia famiglia è ben strutturata, grazie a una buona istruzione universitaria, dove ognuno prende in mano la propria vita, anche se sono consapevole di non essere più una ragazzina e che gli anni passano e, con loro, arriva l’età. Trasferirmi definitivamente in Sardegna, magari una piccola casa, e iscrivermi all’anagrafe come cittadina sarda, è davvero il mio sogno. Trascorrerei i migliori anni della mia vita, ne sono certa, almeno finché avrò la salute per farlo, e senza gravare su nessuno. È davvero il mio sogno più grande».

Qual è la forza che ti spinge a far ritorno in Sardegna? È un po’ un sacrificio?
«Penso che sia qualcosa come dicevano Fabrizio de Andrè e l’amico Andrea Parodi: “Non sei tu che scegli la terra in cui vivrai, è la terra che sceglie te…”. Poi, scopri che ami l’Isola attraverso la storia di mia nonna Vittoria, e delle tre volte che sono stata lì. In Sardegna ho vissuto con persone meravigliose che erano molto simili ai mineiros, minatori, di Belo Horizonte. Non ho mai pensato a questo cambio di vita come un sacrificio, perché avrò sempre un sostegno da parte della mia famiglia, che verrebbe a trovarmi, e prendersi cura di me».

Come vedi Sassari?
«Come le altre grandi città del mondo, con tante peculiarità. Per me Sassari è estremamente ospitale, ordinata, molto pulita, e con una buona infrastruttura pubblica. Non amo molto seguire la politica, ma non ho notato rivalità partigiane in Sardegna. Il costo della vita non mi ha spaventato, e sono rimasta soddisfatta del sistema sanitario, di cui ho usufruito con la mia assicurazione di viaggio nell’anno 2013. Sono stata trattata e medicata molto bene. Per questo dedico un intero capitolo del mio libro all’eccellente servizio sanitario dell’ospedale di Malattie infettive dell’Università di Sassari».

Con l’iter burocratico che stai percorrendo per acquisire la nazionalità italiana, dopo quanto tempo riuscirai ad ottenerla?
«Ho cercato informazioni all’Ufficiale d’Anagrafe Settore Affari Generali e Servizi al Cittadino di Sassari e mi hanno detto che non possono prevedere il momento esatto in cui si chiuderà la pratica, oltre a quello già stabilito dalla legge, che è un massimo di 180 giorni. In Brasile, invece, se riesci a fissare un appuntamento nel 2023, utilizzando un calendario elettronico (che non funziona mai), verrai chiamato solo nel 2024. Dopo di questo, il consolato ha due anni per analizzare la documentazione…».

Hai provato a farti aiutare dal Comune di Sassari?
«Sì, quando scrissi una mail all’allora sindaco di Sassari, Gianfranco Ganau, il quale, colpito dal mio racconto sulle mie radici sarde, chiese che venissero ricercati eventuali documenti appartenenti ai miei nonni sassaresi, poiché nulla era stato ritrovato nell’Archivio Anagrafico di Ittiri. In poco tempo ricevo il primo documento dalla Sardegna, ovvero il foglio matricolare del servizio militare di mio nonno Giuseppe Dettori. Non puoi immaginare quanto grande sia stata la mia gioia! E con questo documento sono riuscita a trovare nell’anagrafe di Sassari tutti gli altri atti di nascita e di matrimonio dei miei avi e zii».

Vuoi dire qualcosa ai giovani sardi che ancora emigrano?
«La migrazione è un movimento umano naturale. Proprio come i nostri antenati, i giovani sardi si recano all’estero per necessità, o motivazioni personali. Sarebbe interessante se esistesse un altro modo, ma nel mondo di oggi i progressi sono molto disomogenei. Essere un immigrato, tuttavia, non è un compito facile. Non importa quanto tu sia ben preparato, i giovani, inoltre, potrebbero soffrire di adattamento culturale e della burocrazia di ogni luogo. È importante prendere in considerazione queste questioni.
Con questo, per coloro che se ne vanno, spero che un giorno ritornino con più capacità e voglia di fare del bene alla loro terra e alla loro gente. A chi se ne va definitivamente, possa diffondere la cultura e la storia sarda, così ricca e importante».

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Il libro di Lucinha non raccoglie soltanto la sua storia, il suo albero genealogico, ciò che raccoglie della sua famiglia è la storia di centinaia di sardi. Racconta la vita e le speranze dei nostri fratelli isolani che per la maggior parte di loro fu soltanto quella di riuscire a sopravvivere. Si resero conto subito che lì, nella “Terra dei miracoli”, molto si doveva lottare per ottenere i diritti più fondamentali. Forse presero subito coscienza della situazione in cui si trovavano dai dormitori fatiscenti e malsani, o dai caotici refettori, oppure quando furono costretti ad essere spostati qua e là come pedine per il Brasile in balia di chi per loro prendeva le decisioni. Non erano liberi.

Immaginiamo Lucinha, una donna garana, come si dice in sassarese, bella fuori e bella dentro, dall’animo buono e gentile, cercare negli archivi la sua famiglia, e l’emozione quando li trovò scritti su quelle antiche carte: «È stato come averli di fronte, e poterli abbracciare».

Fabritizu Dettori

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4 Commenti

  1. Ringraziamo Fabritziu Dettori e i direttori di SARdies.It.Onlyne, per l’opportunità di parlare di me e dei miei antenati Sados in questa eccellente pubblicazione.
    E’ stata una grande sorpresa e sollievo leggere il post scritto da Fabritziu Dettori. Era come se avessi letto l’intero contenuto del libro, assorbendo tutto ciò che avevo vissuto in questi lunghi anni di ricerca delle mie radici sarde. La mia eterna gratitudine per l’affetto di tutti.
    Marilúcia Dettori

  2. Complimenti Lucinha!! La tua storia è veramente molto interessante ed emozionante, un’migrante sarda in Brasile!!

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