Le servitù militari un peso per la Sardegna: è solo lo Stato italiano a trarne vantaggio

Iniziativa di iRS, ProgReS e Torra. Non solo danni al territorio e alle popolazioni. Le basi vengono anche date in affitto agli eserciti stranieri

Adriano Sollai (ProgResS) e Simone Maulu (iRS)

Sassari. Quanto costa prendere in affitto un poligono o una base militare in Sardegna da parte di un esercito di un altro paese, non solo della Nato? Una domanda apparentemente provocatoria ma che in realtà ha una base concreta. Si calcola, e sono dati solo stimati, che un’ora di affitto può rendere allo Stato italiano 50mila euro. Le basi militari sono allora produttive? E quanto va alla Sardegna? Lo chiedono Simone Maulu, portavoce di iRS, e Adriano Sollai, segretario di ProgResS. I due movimenti indipendentisti venerdì scorso a Sassari hanno presentato alla stampa, insieme a Torra (le tre sigle sono impegnate nel processo di dialogo “Est ora”), e in sinergia con il movimento “Corsica libera”, una nuova campagna sulle servitù militari in Sardegna. «Si tratta di una iniziativa congiunta – ha spiegato Maulu –. Come noto, la nostra isola ha sul proprio territorio il 65 per cento delle servitù militari italiane, che corrispondono a 35mila ettari. In Corsica hanno lo stesso problema con tre basi militari francesi nelle quali si eseguono addestramenti ed esercitazioni». Un problema comune, tanto che in contemporanea con la conferenza stampa a Sassari se ne svolgeva una davanti alla base di Semenzara in Corsica. «Vogliamo andare oltre il pregiudizio ideologico, non entriamo stavolta nel merito delle servitù in sé, ma vogliamo conoscere i costi della dipendenza», ha detto ancora Maulu.

Quali sono allora i dati comunicati tramite i canali ufficiali? Si sa quante sono le basi e dove sono. Ma non si conoscono invece i ricavi ufficiali dello Stato italiano quando vengono date in affitto. Si parla – hanno ricordato Maulu e Sollai – di 50mila euro all’ora, incassati da eserciti di tutto il mondo che in Sardegna organizzano guerre simulate ed esercitazioni. Per la prima volta nel 2014 il Consiglio regionale sardo si espresse all’unanimità per una riduzione graduale delle servitù militari. In quegli anni l’allora presidente della Regione Francesco Pigliaru, in occasione di un’audizione alla Camera, parlava di un principio economico, chiedeva quanto costasse realmente un pezzo di territorio utilizzato a fini militari e come quantificare questo. Nel 1996 il sindaco della Maddalena Pasqualino Serra per la prima volta commissionò uno studio indipendente sulla presenza della base militare nell’arcipelago. Si parlò di un disavanzo economico di 45 miliardi di lire in venti anni solo in quella realtà. «Immaginiamoci allora quale può essere lo svantaggio economico a danno di tutta la Sardegna – ha ripreso Maulu –. Con la Corsica riteniamo sia importante riprendere una collaborazione su questi temi. Nel 2016 su iniziativa dell’allora presidente del Consiglio regionale Ganau e del presidente dell’Assemblea corsa Talamoni la Consulta sardo-corsa. Un’istituzione che da quando in Sardegna c’è la Giunta Solinas e in Corsica non c’è più Talamoni non si è riunita. Chiediamo allora che la Consulta sia convocata e commissioni uno studio indipendente sulle servitù militari in tutte e due le isole. Il popolo sardo e quello corso hanno il diritto di conoscere quanto costa la presenza militare». L’iniziativa congiunta sarà presentata ufficialmente al meeting internazionale che si terrà durante le tradizionali Giornate di Corte il 6 e 7 agosto prossimi.

«Abbiamo sollecitato tutte le organizzazioni e i partiti delle nazioni senza stato a intraprendere una battaglia comune contro l’occupazione militare. Riteniamo che solo una battaglia congiunta possa aiutare tutti, in particolare noi sardi che da oltre 70 anni sopportiamo un peso sproporzionato – ha proseguito Sollai –. Anche in seguito agli incontri istituzionali della Regione con il Ministero della Difesa, il presidente Solinas continua ad affermare che la presenza dei militari è un’opportunità di crescita e di sviluppo, anche dal punto di vista economico. E questa rappresentazione è continuamente ripetuta. Noi adesso vogliamo andare oltre e chiedere che finalmente si facciamo i conti se davvero la presenza militare è occasione di sviluppo e non invece un danno e una condizione di sottosviluppo. Chiediamo metodi scientifici di analisi, perché non ci siano dubbi». Sul piano politico, le iniziative congiunte da mettere a punto sono riconducibili agli strumenti previsti dagli statuti delle due regioni, come una mozione o una petizone popolare o le firme raccolte per richiedere un referendum consultivo. «Non abbiamo intenzione di fermarci, anche perché in Sardegna pendono diversi processi sulle responsabilità delle basi militari. Alcuni territori sono irrimediabilmente compromessi. Se non riusciamo a sapere l’entità dei danni o dei mancati guadagni, invitiamo lo Stato italiano ad abbandonare immediatamente la nostra isola», ha concluso Sollai.

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