Stagione lirica sassarese, Poulenc e Hazon non convincono il pubblico del Comunale

L’Ente Concerti ha allestito un dittico con opere del secondo dopoguerra, “La voix humaine” e “Agenzia Matrimoniale”. Brava Paoletta Marrocu

Paoletta Marrocu in “La voix humaine” (foto Ente Concerti – Elisa Casula)

Sassari. Dopo il deludente “Barbiere di Siviglia” di due settimane fa con un allestimento che intendeva richiamare i personaggi e i colori dell’artista colombiano Fernando Botero, l’Ente Concerti sassarese insiste nel rileggere le opere liriche rifacendosi all’arte pittorica. Giovedì sera (con replica sabato pomeriggio) è stata la volta di Pablo Picasso. Stavolta, lo diciamo subito, la proposta è sembrata funzionare meglio. Di aiuto è stato, non ce ne voglia nessuno, la scelta di puntare su due titoli un po’ insoliti per i teatri italiani. Operazione senza dubbio impavida, con un filo conduttore, l’amore tormentato, che ha legato “La voix humaine” di Francis Poulenc e “Agenzia Matrimoniale” di Roberto Hazon, opere – Alberto Gazale, direttore artistico dell’Ente, era il regista in entrambi i casi – che sul piano strettamente musicale non possono ovviamente reggere il favore che il pubblico da sempre riserva, per capirci, al “Barbiere”, capolavoro della storia della musica e che in quanto tale andrebbe sempre “maneggiato” con rispetto (ma è un discorso che riguarda tutti i capolavori e che andrebbe fatto capire ai fautori del Regietheater purtroppo ormai imperante).

Il fil rouge del dittico Poulenc-Hazon, come si diceva, è stato l’amore, osservato da un punto di vista femminile, negativamente in “La voix”, in chiave più leggera in “Agenzia matrimoniale”. È noto il rapporto che Picasso riservava alle donne, piuttosto duro e complicato, tanto che alcune arrivarono perfino al suicidio o alla devastazione interiore. Ed è conosciuta anche la sua frequentazione dei circoli artistici e letterari nella Parigi della prima metà del Novecento, di cui erano protagonisti anche Poulenc e Cocteau.

I saluti finali

In “La voix humaine” di Francis Poulenc, atto unico rappresentato per la prima volta nel 1959, l’esasperazione amorosa arriva al culmine. Una brava Paoletta Marrocu, soprano dalla carriera internazionale, ha garantito al pubblico del Teatro Comunale una interpretazione al tempo stesso curata nel dettaglio musicale ma complicata, eppure riuscita, su quello recitativo, interamente in francese. La musica di Poulenc accompagna in sottofondo il lungo monologo tutto in francese concepito da Jean Cocteau nel 1930, un classico della prosa del Novecento e che in italiano fu reso celebre da Anna Magnani diretta da Roberto Rossellini nel film a episodi “L’amore” del 1948. Gli squilli (in una occasione curiosamente informatici) del telefono riaccendono il dialogo di Elle (non è dato conoscere il nome della protagonista) interrotto più volte dalla linea che cade. La partitura funge da sottofondo a un testo che esprime tutta la sofferenza di una donna che con tutta probabilità è stata appena lasciata dal proprio uomo, che si intuisce sta dall’altra parte della linea e che forse è già in compagnia di una nuova amante o è ritornato dalla moglie. Convincente la scenografia e la ricostruzione di una camera parigina degli anni ’50 (o giù di lì) sotto forma di atelier artistico. “La voix humaine” non è la prima volta che viene proposta dall’Ente Concerti “Marialisa de Carolis”: accadde nel 2001 al Teatro Verdi con Denia Mazzola Gavazzeni.

Paoletta Marrocu è stata mattatrice anche della seconda parte della serata, nel ruolo di Argia nell’opera buffa di Roberto Hazon “Agenzia Matrimoniale”, rappresentata per la prima volta a Parma nel 1962. Niente di trascendentale sul piano musicale, la trama, firmata dallo stesso Hazon con la collaborazione della moglie Ida Vallardi, è piuttosto leggera se non proprio ingenua e sviluppata con eccessiva velocità (l’epilogo è il matrimonio tra un rappresentante di una agenzia di assicurazioni e una guardarobiera di un teatro: i due avevano nascosto reciprocamente le loro vere professioni). Eppure, l’opera, all’esordio, riscosse un discreto successo forse perché si discostava parecchio dalle avanguardie che negli anni Cinquanta e Sessanta avevano preso le redini della musica cosiddetta seria, allontanandola dalle grandi platee e lasciando libero il campo alla musica leggera che poté così diventare la colonna sonora di un’intera generazione. Allestimento nel complesso necessariamente meno lineare rispetto a “La voix humaine”, con una scenografia da commedia televisiva d’epoca, in “Agenzia matrimoniale” c’è troppa carne al fuoco, anzi sul palcoscenico, soprattutto nel lasciare in evidenza i personaggi di contorno. Più chiaro il collegamento (solo) visuale con la pittura di Picasso, presente con la ricostruzione dal vero di “Les demoiselles d’Avignon” (1907), che ha però palesato una eccessiva ingenuità. È risultato intelligente, chiaramente per il secondo titolo, il ricorso invece al doppio livello scenografico, che ha permesso di evitare pause nel cambio scena.

Bene (ma parliamo pur sempre di opere nelle quali la musica ha un ruolo subalterno) l’Orchestra dell’Ente Concerti, diretta da Daniele Agiman, che ha guidato con precisione la compagine sassarese, soprattutto in “La vox humaine”, mantenendo una tensione drammatica per tutta l’esecuzione. In “Agenzia Matrimoniale” Paoletta Marrocu, più disinvolta nella recitazione, è stata affiancata dal baritono Alberto Petricca, nel ruolo di Adolfo, che ricordava curiosamente il Sergio Benvenuti di “Borotalco” di Carlo Verdone. Un’ottima Annunziata Vestri (per lei uno dei pochissimi applausi della serata) era la barbona, che cantava melodie degli anni ’60 ricche di espressioni in dialetto milanese. Siria Colella era invece la segretaria. A tratti un po’ forzati gli interventi di Marco Spiga (un immaginario critico d’arte), che all’inizio delle due opere ha spiegato, indugiando un po’ troppo, alcuni momenti della vita di Picasso utili per comprendere la lettura della serata. Le scene erano di Antonella Conte, i costumi di Luisella Pintus e il disegno luci di Tony Grandi.

Tiepida la risposta del pubblico, non certo numeroso (era del resto prevedibile). È giusto che titoli poco praticati vengano allestiti nel contesto di una stagione imperniata sui classici dell’opera (il “de Carolis” è pur sempre un teatro di tradizione). Ma si potrebbe forse puntare anche su titoli musicalmente più incisivi, per esempio del patrimonio italiano del 1700 o opere minori (che poi tali non sono mai) di autori del calibro di Mozart e Haendel.

Luca Foddai

Articoli Correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Pulsante per tornare all'inizio