Regalo di Natale, martedì al Teatro Comunale di Sassari

Dal celebre film di Pupi Avati, l’adattamento teatrale di Sergio Pierattini. Con Gigio Alberti, Filippo Dini, Giovanni Esposito, Valerio Santoro e Gennaro Di Biase

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Regalo di Natale – Michele De Punzio

Sassari. Focus sul gioco (d’azzardo) come specchio e metafora dell’esistenza in “Regalo di Natale” –trasposizione teatrale dell’omonimo film di Pupi Avati che tocca un tema fondamentale come l’amicizia – con le ambiguità e i tradimenti, le rivalità e i fallimenti – in tournée nell’Isola sotto le insegne della Stagione 2018-2019 de La Grande Prosa organizzata dal CeDAC nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna.

La commedia agrodolce – e attualissima nella riscrittura firmata da Sergio Pierattini – che mette l’accento sulle umane debolezze in una partita a poker che diventa l’occasione per un amaro bilancio dei protagonisti, debutterà in prima regionale martedì 16 aprile alle 21 al Teatro Comunale di Sassari.

Un eccellente cast – che schiera Gigio Alberti (volto noto del grande e del piccolo schermo, da “Kamikazen” e “Mediterraneo”, “Sud”, “Nirvana” e “Quo vadis, Baby?” di Gabriele Salvatores, ai films di Marco Bellocchio, Cristina Comencini, Silvio Soldini e Paolo Virzi, fino a “Assolo” di Laura Morante e al recente “Exitus” oltre all’intensa carriera teatrale – dal successo di “Comedians” a “Art” di Yasmina Reza con Alessandro Haber e Alessio Boni) e Filippo Dini – uno dei più raffinati interpreti della scena italiana contemporanea (Premio Le Maschere del Teatro per “Il discorso del re”) insieme con l’attore e comico Giovanni Esposito (da Pippo Chennedy Show e Mai dire…, al sodalizio con Aldo, Giovanni e Giacomo.), l’attore (e produttore) Valerio Santoro e l’attore e cantante Gennaro Di Biase (Tutti Pazzi per Amore) per una pièce che fotografa il nostro tempo e il declino della civiltà – tra egoismo e indifferenza, insensibilità e spregiudicatezza.

“Regalo di Natale” – nell’allestimento de La Pirandelliana con scenografie di Luigi Ferrigno, costumi di Alessandro Lai e luci di Pasquale Mari – descrive una partita a poker fra amici per trascorrere la sera della vigilia in compagnia di un atteso ospite, il facoltoso avvocato Santelia. I quattro protagonisti si conoscono e frequentano da tempo ma i legami tra loro si son fatti via via più labili, non sono mancati i contrasti e perfino i “tradimenti”, quindi dietro l’apparente familiarità si nascondono vecchi rancori e nodi irrisolti. Il ruolo dell’ospite è chiaro e inequivocabile: è lui la vittima predestinata, il ricco e ignaro finanziatore dei sogni e del riscatto degli altri giocatori, un “pollo” su cui i presenti sperano di far valere la propria abilità e bravura, forse anche un uomo che non soffrirebbe troppo della perdita, disposto a rischiare ingenti somme per puro divertimento.

La situazione degli altri quattro non è per nulla serena: Franco è un imprenditore i cui affari nel settore delle multisale cinematografiche non godono al momento di troppa fortuna; Lele è un critico teatrale non esattamente affermato che vive all’ombra dell’amico; Ugo lavora in televisione e ha alle spalle un matrimonio fallito e Stefano, il più idealista, almeno a modo suo, tira a campare con piccoli traffici. Sul piatto non c’è soltanto la porta in denaro ma anche e soprattutto un’analisi e una valutazione soggettiva dei propri successi e fallimenti, un calcolo dei guadagni e delle perdite nel corso degli anni, tra le conseguenze di azioni e scelte non sempre felici, con l’affiorare di sentimenti ambivalenti – dalla simpatia all’odio. Il passato riemerge insieme alle delusioni, ai raggiri e agli (auto)inganni e una “semplice” partita a carte si tramuta in resa dei conti, in particolare per Ugo e Franco – tra i quali c’è la ferita ancora aperta del tradimento, a causa di una donna, la moglie dell’uno invaghitasi dell’altro, in un rapporto simile alla strana gelosia di Iago per Otello, con un sotterraneo tormento che avvelena i pensieri e esige vendetta. La partita rappresenta l’occasione per un incontro e forse una (temporanea) rappacificazione tra i due antagonisti, in vista di un’ipotetica vincita con cui l’imprenditore potrebbe se non risolvere i problemi almeno evitare il fallimento.

In un susseguirsi di rivelazioni anche imbarazzanti e coups de théâtre la storia grottesca e caratterizzata da una buona dose di humour nero volge all’epilogo, lasciando dietro di sé una sorta di nostalgia per i valori e i principi trascurati o dimenticati, per gli ideali della giovinezza e l’illusione di un mondo migliore – o almeno di essere persone migliori per scoprire insieme ai protagonisti un senso di smarrimento, quasi una vertigine davanti alla coscienza della verità, tra amarezza e disincanto.

Nelle sue note Marcello Cotugno cita il sociologo Roger Callois, che nel saggio “I giochi e gli uomini” identifica «quattro categorie: agon o competizione, alea o caso, mimicry o maschera ilinx o vertigine». Il regista sottolinea che: «Il poker, secondo molti, si avvicina all’idea del gioco perfetto, poiché racchiude in sé tutte e quattro queste anime. “Nulla come il gioco del poker vi rivela – sostengono il filosofo Rovatti e il sociologo Dal Lago – la persona morale di chi vi sta di fronte (e la vostra a loro)”. Il poker è anche un nobilissimo gioco tra gentiluomini, un rito moderno in cui mostrarsi per quello che non si è, proprio come in una rappresentazione teatrale: quanto più la maschera è forte e impenetrabile, tanto più sarà difficile comprendere i nostri punti».

Per Cotugno: «Con la sua stringente contemporaneità e la sua universalità fuori dal tempo, la parabola di “Regalo di Natale” è allora il trionfo del singolo sul collettivo, è la metafora del successo di uno conquistato a spese di tutti, è il simbolo di una teatralità doppia e meschina, è un’amara riflessione su come stiamo diventando. O su come forse siamo già diventati».

«Se il poker è lo specchio della vita» – conclude il regista – «il teatro è il luogo dove attori e spettatori si possono rispecchiare gli uni negli altri. E due specchi messi uno di fronte all’altro generano immagini. Infinite».

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