A Palazzo Ducale il Barocco andino contemporaneo

Fino al 16 marzo nella Sala Duce una mostra dedicata alle opere pittoriche della Scuola di Cuzco (Perù). Un’arte rimasta immutata da secoli

 

 

BaroccoAndino1Sassari. È stata inaugurata la mostra “Barocco andino contemporaneo: l’influenza dei maestri italiani nella Scuola di Cuzco (Perù)” che dal 16 febbraio al 16 marzo potrà essere visitata negli spazi della sala Duce di Palazzo Ducale, a Sassari. Arriva in Sardegna una singolare forma d’arte ancora poco conosciuta, che riprende i temi espressivi della pittura delle scuole andine, dalle cosiddette gerarchie agli arcangeli musici, passando per gli arcangeli archibugieri, quindi ancora la Madonna vista come Madre Terra, il culto dei santi. Opere pittoriche dei diversi laboratori artistici che tuttora operano a Cuzco, in Perù, secondo tecniche e forme che risalgono al periodo manierista della seconda metà del XVI secolo.

La mostra è stata presentata in anteprima alla stampa dall’assessore comunale alla Cultura e Turismo Raffaella Sau ed è curata da Mario Ibba, Sabina Locatelli, Alessandro Ponzeletti e Riccardo Scotti e, oltre al patrocinio del Comune di Sassari, ha ottenuto quelli della Presidenza del Consiglio regionale della Sardegna, della Fondazione di Sardegna oltre che dalla Escuela Superior Autónoma de Bellas Artes “Diego Quispe Tito”, di Cuzco. L’evento è sostenuto anche da privati: Belle Epoque (Alghero) e Comunica Sassari.

BaroccoAndino3«Oggi uno sguardo lungo ci porta al di là dell’Oceano Atlantico – ha detto l’assessore Raffaella Sau – a scoprire un arte che trova le sue origini in Europa e che poi si evolve con le caratteristiche proprie del paese di origine di questi straordinari pittori». E i riferimenti sono ai maestri italiani quali il frate gesuita Bernardo Bitti, Matteo Perez de Alessio e Angelino Medoro. Di questi ha parlato lo storico Alessandro Ponzeletti nel presentare la mostra sul barocco andino contemporaneo che lega la Sardegna alle creste delle Ande. Un legame che vede il pittore gesuita Bernardo Bitti, «con un cognome inequivocabilmente sardo», che fu il primo dei tre pittori che dal 1575 andò a Cuzco e lì iniziò a dipingere e dar vita a soggetti sacri che poi crearono la base per i tanti pittori della scuola andina.

BaroccoAndino2Alla mostra sono legati anche alcuni eventi collaterali. Il primo in programma ad Alghero nella Galleria “Belle Epoque” di via Columbano 31, dal 18 febbraio al 15 marzo (tutti i giorni dalle 10,30 alle 13 e dalle 17 alle 20), vedrà esperti illustrare l’influenza europea e preincaica sul vestiario, armi e strumenti musicali tipici dell’iconografia del barocco andino. Saranno mostrati degli archibugi spagnoli dell’epoca e altri manufatti originali. L’appuntamento, con ingresso libero, porta il titolo di Arcangeli, madonne e santi: influenza europea e preincaica sull’iconografia del barocco andino. Sono inoltre programmate alcune visite ai luoghi del barocco spagnolo nel centro storico di Sassari, con l’intervento dello storico dell’arte Alessandro Ponzeletti.

Gli orari di apertura della mostra a Palazzo Ducale, dal 16 febbraio al 16 marzo 2017, prevedono ingressi da lunedì a venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 16,30 alle 19; sabato dalle 10 alle 13; domenica chiuso. È possibile richiedere visite guidate. L’ingresso è libero.

 

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I TEMI DELLA MOSTRA

Il Barocco Andino e la Scuola di pittura di Cuzco. Con la “conquista” dell’America, al seguito degli europei, si trasferirono nel Nuovo Continente alcuni artisti, con il compito di decorare le chiese che si stavano costruendo ovunque. Presto, la grande richiesta di opere d’arte impose la necessità di formare alcuni artisti locali, così in America sorsero diverse Scuole di pittura e tra queste la più importante nacque in Cuzco (Perú). I modelli da seguire furono il Manierismo e poi il Barocco, e le prime opere importanti furono eseguite da maestri italiani: il frate gesuita Bernardo Bitti, dal 1575, poi Matteo Perez de Alessio e Angelino Medoro. Dalla metà del Seicento, Diego Quispe Tito, l’artista più famoso di Cuzco, introdusse il paesaggio nella pittura peruviana e inserì le sue figure in rigogliose vegetazioni irreali, con prospettive distorte e l’aggiunta di uccelli tropicali, tutti elementi iconografici che poi divennero caratteristici di quella Scuola. Poco alla volta gli artisti di Cuzco si staccarono dai modelli europei e abbandonarono il mondo reale per inoltrarsi nella fiaba. Così cominciarono a dipingere arcangeli avvolti in abiti regali e che impugnavano armi da fuoco, decorazioni preziose su tutti gli abiti, raggiere dorate, ricche collane e gioielli sulle madonne, dando origine al “Barocco Andino” o “Stile Meticcio”. I missionari, intanto, fecero opera d’evangelizzazione, trovando una reciproca identificazione tra le divinità locali e la Trinità, la Madonna, gli angeli e i santi. In questo modo si permise il mantenimento e la trasmissione dei miti religiosi originali, determinando la creazione di una precisa iconografia locale.

Le Serie Angeliche. Tra i temi più espressivi della pittura delle Scuole andine, ci sono le straordinarie Serie di angeli, disseminate in vari luoghi sul territorio compreso tra la Bolivia e il Perú. Queste Serie sono di tre tipi: le Gerarchie, gli Arcangeli Archibugieri e gli Arcangeli Musici. Nella prima serie gli esseri celesti indossano gonnellini femminili, che combinano con stivaletti e, a volte, con corazze, elmi, spade e scudi delle legioni romane, e sono identificati con gli spiriti della Natura. Nella seconda serie, gli arcangeli vestono secondo l’usanza militare degli spagnoli al tempo della conquista, impugnano archibugi, lance, alabarde e bandiere, e sono considerati i protettori della casa. Gli Arcangeli Musici, infine, sono rappresentati suonando gli strumenti musicali della tradizione europea o andina, indossano gli abiti romani o i vestiti dei militari spagnoli, e portano allegria nelle abitazioni che li ospitano.

La Madonna come Madre Terra. La Vergine Maria fu identificata dalle popolazioni andine con la Pacha Mama (Madre Terra), una divinità molto venerata nell’ambito della religione locale, che mantenne la sua importanza anche dopo la conversione al Cristianesimo. Il Vicereame di Spagna che fu istituito nei territori andini, di fatto, fu l’unico luogo dove la Madonna fu rappresentata in forma esplicita come la Madre Terra. L’esempio più importante è il quadro dipinto nel 1520 e conservato nel “Museo de la Moneda” nella città di Potosí (Bolivia), dove si nota l’immagine di Maria inserita nella montagna e incoronata dalla Trinità, mentre ai suoi piedi sono inginocchiati il papa Paolo III, il re Carlos V di Spagna, dei dignitari e un capo tribù indigeno. Ai lati del monte sono dipinti il Sole e la Luna con volti umani, e tra i personaggi inginocchiati ai suoi piedi la Terra, elementi molto frequenti nelle rappresentazioni di quel periodo, che fanno riferimento alla religione incaica. La caratteristica iconografica fondamentale di tale sincretismo è la forma triangolare data alla Madonna, che in questo modo ricorda l’aspetto di una montagna, rappresentazione più evidente della Madre Terra. Le diverse immagini dell’iconografia mariana, perciò, soprattutto quando sono accompagnate da Gesù Bambino, si associano all’idea del nutrimento e della protezione che l’uomo andino riceve dalla Pacha Mama, la quale, oltre ai suoi prodotti per alimentarsi, gli offre la propria ospitalità per rifugiarsi.

Il culto dei Santi. Già dal 1551, durante il primo Concilio di vescovi tenutosi a Lima, furono stabilite le regole basilari da adottare per l’evangelizzazione degli indigeni. Dagli Atti del terzo Concilio, tenutosi trenta anni più tardi, però, emerge che l’idolatria era egualmente diffusa come all’inizio dell’evangelizzazione, promuovendo una campagna per opporvisi anche in modo drastico. Da un lato i Domenicani e i Francescani richiedevano l’abolizione dei culti atavici, mentre dall’altro i Gesuiti e gli Agostiniani cercavano di trovare i punti di conciliazione tra le diverse religioni. In quei frangenti, molte personalità tra i conquistatori e tra gli indios, condividevano le opinioni espresse dal gesuita José de Acosta, secondo cui la rivelazione di Dio era stata fatta a tutti gli uomini, identificando Viracocha (la divinità suprema degli incas) con il Dio del Cristianesimo, e il Sole come la sua creazione. L’identificazione, da parte della popolazione indigena, di Santiago (san Giacomo maggiore) con Illapa, dio del fulmine e del tuono, era una chiara testimonianza di questo atteggiamento diffuso.

Laboratori contemporanei in Cuzco. In Cuzco, ancora oggi, varie botteghe d’Arte continuano a produrre opere pittoriche riproducendo e interpretando l’iconografia classica del passato. I maestri che conducono i diversi laboratori artistici, guidano gruppi di artisti incaricati di una parte del lavoro, che alla fine porta alla produzione di opere collettive e raramente firmate. I gruppi di artisti e artigiani che collaborano alla produzione dei dipinti, generalmente sono di cinque o sei persone, sebbene non è raro trovare dei laboratori costituiti da nuclei familiari, e formati da due o tre persone. La conoscenza delle tecniche pittoriche è trasmessa dal maestro agli allievi, attraverso un procedimento di insegnamento-apprendimento graduale e costante, che solitamente dura alcuni anni. Per questa ragione, spesso gli apprendisti fanno parte dello stesso nucleo famigliare o, in caso contrario, vivono in ambienti annessi al medesimo laboratorio, come nelle botteghe medievali europee. La peculiarità di questi dipinti ad olio è che non si tratta di semplici riproduzioni delle opere antiche, ma di variazioni sull’iconografia classica, ogni volta interpretata in modo diverso. Questo processo è paragonabile a quello che avviene nella realizzazione delle icone bizantine, dove solo pochi maestri ispirati possono inventare nuove immagini, ma tutti i pittori, inevitabilmente, pongono qualcosa di proprio.

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