L’economia della Sardegna: analisi, confronti e prospettive

Giovedì scorso nella sede di Sassari della Banca d’Italia iniziativa promossa con Confindustria Centro Nord Sardegna e CRENoS

I relatori e, sulla destra, il direttore della Banca d’Italia Filippella

Sassari. L’economia sarda cresce ma a ritmo lento (il Pil ha registrato un +0,2 per cento nel 2018, contro il +0,8 del 2017), in questo riflettendo la realtà italiana. Stabili i consumi. Ma ha anche propri limiti, tra cui la dimensione ridotta del modello più diffuso di impresa, con meno di dieci dipendenti. E poi il capitale umano: non si riescono a creare posti di lavoro abbastanza qualificati. Sono solo alcuni dei temi emersi giovedì scorso nella sede sassarese della Banca d’Italia nel corso del convegno “L’economia della Sardegna. Analisi, confronti, prospettive”, promosso da Banca d’Italia, con Confindustria Centro Nord Sardegna e Centro ricerche economiche CRENoS. Marco Filippella, direttore della Filiale di Sassari, e Giancarlo Fasano, direttore della Filiale di Cagliari, hanno presentato il Rapporto Banca d’Italia sull’economia della Sardegna, mentre Giuseppe Ruggiu, presidente della Confindustria Centro Nord Sardegna, ha ricordato l’urgenza per il mondo delle imprese di un intervento del governo sul cuneo fiscale e per la Sardegna in particolare di un ammodernamento delle reti infrastrutturali.

L’economia dell’isola ha continuato a crescere nel 2018, rallentando però rispetto al 2017. «Questo è dovuto soprattutto al fatto che le esportazioni e gli investimenti, che sono risultati comunque in aumento nel 2018, si sono indeboliti rispetto all’anno precedente. I consumi delle famiglie sono risultati stazionari. Sono andate abbastanza bene l’industria metallurgica e la chimica», ha spiegato Giovanni Soggia (Banca d’Italia). Ha deluso l’agroalimentare, che non è cresciuto quanto si sperava. Aumentano gli occupati, ma il lavoro si muove verso impieghi a basso contenuto di capitale umano e quindi a bassa qualifica. «Si verifica il fenomeno della sovraistruzione, che non vuol dire che ci sono troppi laureati, ma che l’economia non è in grado di creare lavori abbastanza qualificati per il capitale umano che produce», ha detto ancora Soggia.

Le aziende sarde rimangono molto piccole, ha precisato Bianca Biagi (Università di Sassari), che ha illustrato i dati del 26° Rapporto CRENoS sull’economia della Sardegna. «Il tessuto economico sardo si caratterizza per la presenza di microimprese o nanoimprese, ovvero con meno di dieci dipendenti. Questo chiaramente è un problema, perché limita la capacità di esportare e soprattutto di creare innovazione e di investire in ricerca e sviluppo e quindi anche la produttività in generale – ha spiegato –. Tra le criticità anche una struttura demografica in declino. Questo creerà dei problemi di crescita potenziale e di sostenibilità futura dello stato sociale». Nel Rapporto CRENoS ci sono anche degli elementi positivi. «Il turismo cresce per il settimo anno di seguito, soprattutto nella domanda turistica straniera, che sale del 10 per cento ed è pari a quella italiana». Un elemento deludente per l’economia sarda in generale è il capitale umano, ancora basso. La presenza di laureati nella fascia d’età 30-34 anni è del 24 per cento, un dato inferiore alla media Ue che è del 40 per cento. «Stiamo però facendo passi in avanti perché rispetto al 2013 siamo cresciuti del 7 per cento». Anche se altri numeri preoccupano: per esempio, il 21 per cento dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha la sola licenza media.

Come si inquadra l’economia sarda nel contesto mondiale? «La globalizzazione come l’abbiamo conosciuta finora è venuta meno», ha ricordato Fabrizio Traù, del Centro Studi Confindustria. Ci sono forti tendenze protezionistiche e a circoscrivere gli scambi internazionali ad ambiti più ristretti e ad aree più definite. «Questo comporta un minore ruolo per la domanda estera e un’esigenza di rilancio della domanda interna anche nei paesi industriali che per troppo tempo è stata trascurata».

Al termine è intervenuto Adolfo Valsecchi, presidente della Generale Conserve spa di Olbia, proprietaria del marchio As do Mar, azienda associata a Confindustria Centro Nord Sardegna. Valsecchi è stato per 21 anni amministratore delegato della Palmera. Il marchio negli anni ’90 era a pari merito con Rio Mare, oggi primo a livello mondiale con il 50 per cento del mercato italiano. «Sono ritornato nell’isola, con la As do Mar. Ho trovato la situazione peggiorata, perché il mondo è andato più veloce rispetto all’Italia e alla Sardegna. A incidere pesantemente è il costo del trasporto verso l’isola della materia prima da lavorare e poi per esportare il prodotto finito nel Continente».

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