Un bel Nabucco chiude la stagione lirica 2023 dell’Ente Concerti sassarese

Sul palcoscenico del Comunale un ottimo Marco Caria e un bravo Rubén Amoretti. Riproposto l’apprezzato allestimento del 2012, coprodotto con Cagliari

Da sinistra, Marco Caria (Nabucco), Ruben Amoretti (Zaccaria), con Shay Bloch (Fenena) e Giansilvio Pinna (Ismaele) (foto di Elisa Casula)

Sassari. L’Ente Concerti “Marialisa de Carolis” stavolta va sul sicuro e ripropone il collaudato e riuscitissimo allestimento del 2012 del Nabucco di Giuseppe Verdi. Per l’ultimo titolo della stagione (in replica oggi, domenica, alle 16,30 e martedì alle 20,30) ritorna così la versione curata 11 anni fa dall’Ente e dal Teatro Lirico di Cagliari, con la regia di Leo Muscato, ripresa da Alessandra De Angelis, le scene di Tiziano Santi, i costumi di Silvia Aymonino, Maria Antonietta Lucarelli assistente ai costumi e il disegno luci di Alessandro Verazzi. Pochi fronzoli e nessuno spazio a forzate e poco convincenti riletture di un classico della lirica, a differenza di quanto invece registrato con Il Barbiere di Siviglia di Rossini e con il dittico Poulenc-Hazon.

Una bella regia rimane tale anche a distanza di anni e questo è il caso del Nabucco di Leo Muscato. Masse che stanno benissimo in scena, protagonisti schierati sul palcoscenico e messi in evidenza con luci che li trasformano in personaggi da collezione, scenografia che punta all’essenziale e che rende al meglio l’ambientazione babilonese. A tutto questo si aggiungono i bei costumi fedelissimi alla storia.

Se per l’allestimento le lodi si sprecano, lo stesso (o quasi) si deve ripetere per l’interpretazione musicale. Innanzitutto, Fabrizio Maria Carminati, nome di grande prestigio e di solida preparazione, ha fornito una direzione puntuale e che è riuscita a mettere a suo agio l’orchestra dell’Ente, forse nella sua migliore performance stagionale. L’unico appunto riguarda la Sinfonia, un po’ sottotono. Ma diciamo chiaramente che il nostro giudizio è influenzato da un eccesso di ascolto delle esecuzioni di Riccardo Muti, che da decenni, alla Scala o all’Opera di Roma o nei concerti più prestigiosi al Quirinale o al Senato per Natale, affronta la Sinfonia del Nabucco con un dinamismo fuori dal comune: ne conserviamo gelosamente le registrazioni video.

Ottimo il Nabucco di Marco Caria (per lui la prima volta in questo ruolo), baritono sardo che al Comunale aveva esordito positivamente lo scorso anno in La traviata, nel personaggio di Giorgio Germont, e che la scorsa estate era ritornato al Comunale in Cavalleria rusticana di Mascagni e poi in Pagliacci di Leoncavallo in piazza d’Italia. Caria possiede un gradevole timbro, con una emissione ben curata e che copre ottimamente le note centrali. Il suo solo limite è una certa staticità sulla scena. Ad affiancarlo in questa piccola classifica di elementi positivi il basso spagnolo Rubén Amoretti, uno splendido Zaccaria. Una sorpresa per un cantante che non conoscevamo e sul quale non c’è da fare nessun appunto. Con una particolarità che rende Amoretti, chiediamo scusa per il termine, eroico: il suo inizio di carriera era stato come tenore leggero (per capirci, Nemorino in L’Elisir d’amore) per poi evolversi in tenore lirico. Un abbassamento ulteriore di voce aveva insospettito che qualcosa non andava. Era un tumore all’ipofisi (con immediata e necessaria operazione) che stava modificando le corde vocali, come lui stesso spiega in una intervista sul web. Una trasformazione incredibile insomma. E che risultato. Bene anche il mezzosoprano Shay Bloch (Fenena), che ha garantito una bella padronanza della voce e un’intensa presenza scenica. Meno convincente invece Anastasia Boldyreva, che ha interpretato Abigaille. Innanzitutto, lo confessiamo, non abbiamo capito se avevamo di fronte un soprano o un mezzosoprano. A questo, nella prima parte va aggiunta, ed è accaduto già ad altre interpreti in questa stagione, una propensione fastidiosa alla forzatura nella potenza. Una nota negativa, la possiamo chiamare “effetto Albano”, che immancabilmente attira la simpatia del pubblico meno preparato. Va però detto che nel corso della serata il soprano russo ha trovato un giusto equilibrio completando la sua prestazione in scioltezza e padronanza interpretativa con un’ottima seconda parte di opera. Qualche perplessità di troppo invece per Gian Silvio Pinna, un Ismaele davvero poco credibile, come voce e come interpretazione. Sul palcoscenico anche Marco Solinas (Sacerdote di Belo), Mauro Secci (Abdallo) e, con qualche strillo di troppo nelle scene di massa della prima parte, Vittoria Lai (Anna).

E “Va, pensiero” (rigorosamente senza l’apostrofo dell’apocope, perché così lo intitolò Temistocle Solera, autore del libretto di Nabucco)? Rossini in persona parlò di «una grande aria cantata da soprani, contralti, tenori, bassi», sottolineandone le caratteristiche di decisa musicalità. Aria in realtà non è, perché, come è facile notare, non ci sono solisti. Ma Rossini intendeva proprio questo. È allora qualcosa di particolare, che la maestria di un ancora giovane Giuseppe Verdi riesce a inserire in un contesto drammaturgico come vero e proprio personaggio di massa. Ma “Va, pensiero” è anche un simbolo, di un’Italia risorgimentale che puntava alla libertà (dal dominio austriaco soprattutto). Ridicola la scelta della Lega di Bossi di farlo diventare l’inno di una inesistente repubblica padana. Attenzione insomma ad affrontarlo nella maniera corretta, evitando le interpretazioni televisive come accade per il (mai riuscito) concerto di Capodanno dalla Fenice. E a Sassari? Il coro dell’Ente, preparato come sempre da Antonio Costa, lo ha eseguito in maniera superba. Curiosamente non è scattata la richiesta di bis. Nel complesso in Nabucco la compagine corale ha ben convinto, nonostante quale passaggio a vuoto nella prima parte da parte della componente maschile. E non è la prima volta che succede in questa stagione, come abbiamo già fatto notare.

Positiva la risposta del pubblico, che per i classici come Nabucco garantisce sempre un’elevata partecipazione.

In realtà, le proposte dell’Ente Concerti per questa stagione non sono terminate. Ci sarà fra appena tre settimane, il 1° gennaio, un galà pucciniano sempre al Teatro Comunale. Un vero e proprio concerto di Capodanno. E saremo già nel 2024 (con l’auspicio che per la prossima stagione si esca un po’ dalla iper tradizione ottocentesca e si ritorni a proporre Mozart e anche qualche titolo meno frequentato a Sassari, magari un Wagner o un grande autore del 1700 come Haendel, Gluck o Paisiello).

Luca Foddai

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