Il limite regolamentare è di 471, quello tollerabile 638: in attesa di giudizio 88. Condizioni generali delle strutture penitenziarie: secondo il Consiglio d’Europa l’Italia ha un anno di tempo per mettersi in regola
Sassari. Secondo il Consiglio d’Europa sui diritti dell’uomo la situazione delle carceri italiane e dei detenuti è migliorata nel corso dell’ultimo anno. Parole che sembrano accogliere e giudicare positivamente lo stato delle strutture penitenziarie nel nostro Paese. Ma se si verifica con attenzione ci si rende conto che in realtà è stato semplicemente stabilito di non applicare sanzioni all’Italia, perché nell’ultimo periodo ha conseguito “significativi risultati” nel ripristinare la legalità nelle carceri. Promozione allora o semplice rinvio della decisione? Secondo i critici il Consiglio ha «ignorato i rilievi della Corte di Strasburgo» e «la decisione è frutto di un inciucio politico. È una presa in giro sulla pelle dei carcerati». Il dibattito nasce dalla sentenza “Torreggiani” di un anno fa, con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo, che è organo giurisdizionale del Consiglio d’Europa (entrambi hanno sede a Strasburgo), aveva condannato l’Italia al risarcimento di 10.600 euro per le condizioni in cui era costretto il detenuto a causa del sovraffollamento carcerario. Oltre a questa condanna ce ne sono state altre sette, per un totale di circa 100mila euro dovuti dallo Stato italiano. Pochi giorni fa il Consiglio d’Europa ha invece deciso di rinviare la decisione finale al 2015, dando così tempo al nostro Paese di completare la politica adottata in merito.

«Da troppe parti si dice che l’Italia è stata promossa. Strasburgo in realtà ci ha semplicemente dato un altro anno di tempo per metterci al passo con le normative europee», ha ricordato la Garante dei detenuti del carcere sassarese, Cecilia Sechi, che questa mattina a Palazzo Ducale ha fatto il punto sul penitenziario di Bancali insieme al vicepresidente delle Camere penali italiane, Giuseppe Conti, e al presidente Gabriele Satta e a Maria Claudia Pinna, entrambi in rappresentanza della Camera Penale di Sassari “Enzo Tortora”.
«Le carceri italiane sono seconde solo alla Bosnia in Europa come problemi. Nell’ultimo periodo sono state fatte tutta una serie di leggi tampone che non hanno affrontato il problema del sovraffollamento e della situazione complessiva delle carceri italiane. Chi paga tutto questo sono i detenuti. I ricorsi italiani pendenti presso la Corte Europea dei diritti dell’uomo sono circa 4mila. In caso di condanna per l’Italia sarebbe un colpo finanziario pesantissimo», ha detto Cecilia Sechi.

In Italia c’è anche una doppia modalità di conteggiare le presenze in carcere dei detenuti. In particolare, a Sassari la presenza regolamentare è di 471 detenuti. Ma ci sono anche le presenze tollerabili: queste fanno salire il numero a 638 detenuti. Attualmente a Bancali ci sono 340 detenuti, quindi 100 in meno rispetto al limite regolamentare. I “definitivi” sono invece 227; poi 57 sono in attesa del giudizio di primo grado, 15 i ricorrenti, 16 gli appellanti, 27 i “giovani adulti”. Il costo per detenuto al giorno oscilla tra i 120 euro ed i 150 euro, esclusi i costi della sanità che adesso pendono su Asl e non più sul Ministero della Giustizia. Infine i detenuti stranieri: 20 arrivano dal Marocco, 15 dalla Romania, altrettanti dall’Albania, 14 dalla Tunisia, 10 dalla Nigeria e 7 dalla Spagna più altri per un totale di 149. A San Sebastiano la comunità più folta era quella spagnola, che non ha mantenuto gli stessi numeri a Bancali. Invariato è rimasto invece il numero di educatori, nonostante la struttura sia più grande e capiente. Le carenze di organico ci sono anche nella magistratura di sorveglianza e tra gli operatori esterni. «Siamo veramente molto preoccupati per la situazione delle carceri. Ci spaventa l’idea che passi il messaggio che l’Italia sia stata promossa a livello europeo, perché non è così. I detenuti sono l’anello più fragile». Per la quasi totalità i detenuti sono in carcere a Sassari per reati comuni. Pochissimi i casi di corruzione, neanche dieci. Infine, le situazioni di povertà totale: in diversi casi non si hanno neanche i soldi per arrivare in città al momento della scarcerazione. «Sto preparando una relazione sui detenuti che non hanno nessun rapporto con l’esterno: non ricevono pacchi, né colloqui, né telefonate», ha detto ancora Cecilia Sechi, che ha ricordato che in Italia ci sono attualmente 38 carceri chiuse, alcune perfettamente arredate. «Soldi per attività trattamentali non ce ne sono. La struttura di Bancali è comunque promossa. Ci vogliono però altri educatori: adesso ne è arrivato un altro, ma non bastano. C’è anche un campo di calcio ed ho chiesto al Ministero di completarlo», ha riferito la garante. C’è stata finora una sola grossa novità: diverse celle previste con due letti adesso ne accolgono tre. «Il problema dell’Italia è la cultura carcerocentrica. Non siamo abituati a sanzionare senza carcere», ha detto Cecilia Sechi.
«L’Italia non è stata affatto promossa. Non ho comunque difficoltà ad ammettere una sorta di cambio di marcia. Con il ministro Orlando pare si sia innescato un meccanismo virtuoso per affrontare una volta per tutte il problema delle carceri. Finalmente il mondo dell’informazione ha scoperto che esiste un mondo di derelitti e di poveracci. La stragrande maggioranza della popolazione carceraria è costituita di miserabili», ha aggiunto l’avvocato Giuseppe Conti, che ha raccontato che c’è un detenuto in carrozzina che sconta 8 anni di carcere per spaccio. «Finché non si entra nell’ordine di idee che occorre superare catenacci, catene e la mortificazione dell’uomo non supereremo il problema».
In aiuto potrebbe venire il nuovo istituto della “messa alla prova”, finora previsto solo per i minorenni. Ma la legge prevede una lunga serie di requisiti che sarà difficile applicare compiutamente le misura alternativa al carcere. Un altro problema è quello della depenalizzazione formale di tutta una serie di reati, ha ricordato l’avvocato Maria Claudia Pinna. Le disposizioni legislative rimangono poco chiare, farraginose e poco attuabili, proprio sulla “messa alla prova”: il numero di coloro che alla fine ne potrà beneficiare sarà esiguo. «Oltre un quarto della popolazione carceraria è in attesa di giudizio. È un problema di cultura e mentalità, oltre che di dettato normativo», ha concluso l’avvocato Gabriele Satta.
Luca Foddai