Biodiversità e cambiamento climatico, vincenti le soluzioni basate sulla natura
Conclusi ad Alghero i lavori del Simposio internazionale sulla biodiversità e sugli ecosistemi del Mediterraneo
Alghero. Oltre cento esperti di varie nazionalità tra docenti e tecnici di università, centri di ricerca, organizzazioni internazionali e imprese nel corso delle tre giornate di lavori hanno dato vita ad un viaggio culturale, scientifico e tecnico senza precedenti, con 180 relazioni a spiegare la strettissima relazione, il nesso focale, tra il cambiamento climatico e la salvaguardia, il ripristino e la valorizzazione della biodiversità e delle funzioni degli ecosistemi terrestri e marini. Due fenomeni di analisi e studio che devono muoversi parallelamente poiché dipendenti l’uno dall’altro, come parallelamente devono essere adottate le strategie di intervento sul piano scientifico e su quello delle politiche. Temi e attività di cui si occupa il Centro nazionale di Biodiversità (National Biodiversity Future Center – NBFC) di cui fanno parte 48 componenti tra università, enti di ricerca e imprese dei settori specialistici in tutto il territorio nazionale, tra cui il Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari.
Si sono venerdì scorso i lavori del Simposio internazionale sulla biodiversità e sugli ecosistemi del Mediterraneo che, con l’organizzazione del Dipartimento di Agraria e del Centro nazionale della Biodiversità, dal 20 al 22 novembre ha riunito ad Alghero i massimi esperti provenienti da tutto il mondo per fare il punto sulle strategie di conservazione e ripristino degli ecosistemi come fattori strettamente legati al cambiamento climatico e sulle misure per arginarne gli effetti.
Gli scenari emersi nel corso della tre giorni di studi e scambio di esperienze fra addetti ai lavori arrivati ad Alghero da Stati Uniti, Canada, Regno unito e diverse regioni di Italia che hanno messo a disposizione le loro esperienze scientifiche, sono quelli che da anni impegnano ricerca e investimenti.
«La finalità del Simposio era quella di capire che nesso c’è tra perdita di biodiversità e perdita delle funzioni ecosistemiche, quindi come i nostri ecosistemi perdendo biodiversità si degradano – spiega Donatella Spano, docente del Dipartimento di Agraria, coordinatrice del progetto di sviluppo della Piattaforma digitale sulle biodiversità del National Biodiversity Future Center e coordinatrice scientifica del simposio –. Questo ha riflessi sulla vita di ciascuno di noi poiché quando parliamo di funzioni ecosistemiche parliamo proprio di processi che sono funzionali alla vita sul pianeta e anche al clima. C’è un rapporto strettissimo tra condizione climatica e biodiversità e questi due grandi temi non si possono affrontare separatamente né dal punto di vista scientifico né dal punto di vista delle politiche».
Un lavoro di rilevamento, ricerca, analisi e sviluppo tecnologico complesso e articolato, coordinato dal Centro nazionale Biodiversità attraverso i modelli e gli strumenti scientifici che consentono di proiettare le situazioni delineando gli scenari futuri della biodiversità in relazione ai cambiamenti globali. «I modelli hanno bisogno di dati e la raccolta dei dati necessita di reti di monitoraggio – aggiunge la professoressa Spano –. Per questo una intera sessione del simposio è stata dedicata al confronto con i colleghi italiani e stranieri sull’attività delle reti di monitoraggio esistenti e sull’impiego di modelli per la produzione di scenari sullo stato della biodiversità a scala nazionale e locale. L’acquisizione dei dati è uno degli elementi più importanti, perché sulla biodiversità c’è ancora molto da sapere, è una materia di grande complessità soprattutto in aree come quelle mediterranee che ne sono ricchissime».
Anche la Sardegna è direttamente coinvolta in questo grande progetto scientifico che vede impegnata tutta la comunità internazionale. L’isola è uno dei 12 siti di area vasta individuati a livello nazionale per il monitoraggio, su un’area denominata “Tirso”, che va dal Golfo di Oristano fino al Gennargentu.
«È un sito dove stiamo concentrando il monitoraggio sulle condizioni di salute ecosistemica – aggiunge la professoressa Spano – attraverso sensori e strumentazione ad alta tecnologia e mappando le zone che dovranno essere ripristinate. Una attività di grandissima importanza che permetterà di avere un monitoraggio stabile di lungo termine con stazioni automatiche che faranno parte di una rete internazionale sull’assorbimento e il rilascio del carbonio, sul ciclo dell’acqua, sullo stato della vegetazione e sul suolo».
Dati che saranno raccolti nella Piattaforma digitale del Centro nazionale di Biodiversità che fornirà, tra le altre cose, un catalogo di soluzioni possibili per il ripristino del territorio con modelli differenziati a seconda del tipo di situazione, dal sito inquinato a quello incendiato, solo per fare un esempio. Nella piattaforma saranno disponibili anche modelli in grado di prevedere quanta biodiversità andrà persa e gli effetti di questa perdita in termini di servizi ecosistemici e impatto sul clima. «Questo è il nesso con il cambiamento climatico – conclude la professoressa Spano – quindi se è senz’altro vero che da una parte dobbiamo ridurre le emissioni, dall’altra dobbiamo far sì che la vegetazione e gli ecosistemi funzionino. E come abbiamo visto nel corso di questi tre giorni le soluzioni basate sulla natura sono ancora una volta quelle vincenti. L’approccio integrato proposto dai partecipanti al simposio rimarca l’urgenza di attuare politiche e strategie sinergiche per contrastare le sfide ambientali globali».