La Liberazione e la Resistenza vista dai giovani
Eleonora Poddighe e Marianu Dettori hanno partecipato al progetto Promemoria Auschwitz. Ieri sono intervenuti alla cerimonia a Sassari per il 25 aprile

Sassari. Alla cerimonia del 25 aprile in piazza del Comune a Sassari sono intervenuti anche Eleonora Poddighe e Marianu Dettori, due giovani che hanno partecipato al progetto Promemoria Auschwitz, finanziato anche dal Comune di Sassari e organizzato dall’Arci. Qual è per loro e per i giovani di oggi il significato di Resistenza? Ecco quanto hanno detto ieri mattina.
Buongiorno a tutte e tutti,
siamo qua perché oggi 25 Aprile è l’anniversario della Liberazione italiana dal nazi-fascismo. Il termine su cui oggi vorremmo concentrarci è resistenza, vorremo chiedere a voi “cosa è la resistenza?”. Se cercaste su internet scoprireste che “resistenza” è il termine con cui viene indicato il movimento politico e militare che dopo l’armistizio di Cassibile si oppose al nazi-fascismo. Se dovessimo spiegarlo noi la resistenza è un sentimento. Un sentimento condiviso da un popolo che ha deciso di non abbassare la testa, che ha deciso di dire NO, un popolo composto da uomini comuni: operai, professori, ragazzi come noi che, nel pieno della loro coscienza e a costo della vita, si sono opposti e ribellati al totalitarismo e che, pur di combatterlo, si sono spinti sulle montagne e che probabilmente quelle montagne, dalla forza del loro animo, le avrebbero spostate.
La resistenza era una guerra.
Farne parte era dunque molto pericoloso: è doveroso ricordare le numerose stragi e rappresaglie che caratterizzarono quegli anni e che spesso coinvolsero svariati civili, come accadde ad esempio nel tragico eccidio delle fosse Ardeatine. Molti partigiani, donne e uomini, vennero catturati e internati nei vari campi di concentramento, in Italia furono circa 30mila i deportati di matrice politica. Noi abbiamo avuto la possibilità di visitare il campo di concentramento per eccellenza, la morte per eccellenza, il complesso Auschwitz-Birkenau, ma prima vogliamo ricordarvi che questo era solo l’ultima fermata del treno.
L’Olocausto infatti era molto di più, la morte di sei milioni di persone iniziava molto prima, alla base di questo progetto terrificante, dopo le Leggi razziali, c’erano i ghetti.
Nei ghetti iniziava la morte, donne, uomini e bambini innocenti venivano strappati via con la forza dalla loro vita, loro non hanno avuto la possibilità di lottare, di dire NO! Non hanno avuto il diritto alla resistenza.
Abbiamo visto il ghetto di Cracovia e abbiamo visto le mura grigie a forma di lapide che lo circondavano, a forma di lapide. Sì, perché la morte iniziava lì.
Abbiamo visitato la fabbrica di Schindler, un giusto che ha salvato centinaia di innocenti, abbiamo visto la luce e poi, visitando i Campi, abbiamo visto il buio.
Abbiamo visitato i luoghi di massima espressione della malvagità umana.
L’uomo ha deciso, sotto l’idea bizzarra della purezza della razza, di cancellare l’umanità.
Ci ha provato ma non ci è riuscito.
I loro tentativi non superano la nostra voglia di ricordare, noi vogliamo raccontare al futuro ciò che è stato, vogliamo testimoniare quanto l’ignoranza causi il male del mondo.
Entrando ad Auschwitz abbiamo conosciuto la tristezza, abbiamo capito cosa significasse l’angoscia, abbiamo abbracciato la rabbia e ci siamo inchinati difronte all’impotenza.
Anche Auschwitz ha conosciuto la resistenza, anche in mezzo al dolore c’è chi non si è arreso, ci sono stati uomini che pur sapendo di essere condannati a morte certa hanno distrutto un forno crematorio. L’uomo è così, cerca di resistere anche nell’orrore più immenso, ma avvolte l’orrore è così grande da inghiottire ogni cosa.
Prima di partire eravamo pieni di domande, la più invadente era “Perché? Perché tutto questo?”
Se pensate che abbiamo trovato una risposta vi sbagliate.
“Perché è successo?” non lo sappiamo, abbiamo più domande di prima, probabilmente non c’è neanche un perché.
Forse aveva ragione Hanna Arendt quando parlava della banalità del male, il male non ha radici, nasce e basta. Noi abbiamo visto il male ma non possiamo descriverlo.
Primo Levi scriveva “come questa nostra fame non è la sensazione di chi ha saltato un pasto, così il nostro modo di avere freddo esigerebbe un nome particolare”.
Noi diciamo “fame”, diciamo “stanchezza”, “paura” e “dolore”, diciamo “freddo” e sono altre cose.
Sono parole libere create e usate da uomini liberi che vivevano godendo e soffrendo, nelle loro case.
Se i lager fossero durati più a lungo, un nuovo aspro linguaggio sarebbe nato.
Dopo aver letto questo dovremmo correggerci, noi non abbiamo visto il male, ma anche le nostre sensazioni. Per quanto effimere sono inspiegabili. Alle selezioni ci chiesero perché volessimo andare ad Auschwitz e conoscere così da vicino un lato così oscuro della storia, per noi non c’era alcun dubbio, era necessario, ora lo vorremmo chiedere a voi, perché visitare Auschwitz?
Vorremmo ringraziare per questa opportunità di vita il Comune di Sassari – che ha finanziato il Progetto – e poi l’Arci e l’associazione Deina, che attraverso una splendida organizzazione, ci hanno permesso di conoscere e affrontare al meglio questa esperienza di crescita.
Eleonora Poddighe e Marianu Dettori








