Dagli scavi nell’Ex Estanco dell’Università nuove scoperte sul passato di Sassari
Nel cortile interno scoperti i resti di una torre e di tratti di mura medioevale, oltre a frammenti di ciotole e maioliche. Lo spazio diventerà una piazza degli studenti

Il sottosuolo di Sassari non smette di svelare sorprese. Durante i lavori di ristrutturazione dei palazzi del complesso architettonico del Rettorato e dell’Amministrazione Centrale dell’Università, in particolare nell’area dell’Ex Estanco, sono emersi importanti testimonianze archeologiche che riscrivono alcune pagine della storia della città. Ecco perché, d’intesa con la Soprintendenza, per due giorni, martedì e mercoledì scorsi, con accesso controllato al cantiere con ingresso dal cancello verso via Arborea, l’area di scavo è rimasta eccezionalmente aperta al pubblico. In particolare, si sono potuti osservare i resti delle fondamenta e dei muri finora coperti da materiale di risulta accumulato nei decenni nel cortile interno dell’Ex Estanco, per anni di proprietà dei Monopoli di Stato (venivano depositate anche le sigarette e con questa funzione era conosciuto dai sassaresi oggi più anziani). In parole povere, sotto lo spiazzo di terra battuta era conservata l’ennesima testimonianza rimasta nascosta per secoli del passato di Sassari.
Gli scavi iniziali erano stati avviati in realtà la realizzazione di una nuova struttura “frangisole” per scala antincendio e impianti. E casualmente sono stati rinvenuti i primi resti murari. Sono state poi aperte indagini archeologiche vere e proprie, condotte sotto la sorveglianza della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Sassari e Nuoro.
Cosa si nascondeva allora sotto la terra? Va detto che sono state riportate alla luce diverse stratificazioni complesse che comprendono strutture murarie medievali, canalizzazioni, impianti produttivi, discariche, sepolture e resti di una possibile torre. I materiali più recenti documentano fasi comprese tra la fine del XV e il XVII secolo, gettando nuova luce sulla nascita del Collegio Gesuitico, nucleo originario dell’Università di Sassari. Tra le scoperte più significative si citano i possibili resti di una cinta muraria medievale, con due fasi distinte; una struttura rettangolare con blocchi bugnati, forse una torre quadrangolare, la cui presenza era ipotizzata da una tavola storica di Enrico Costa (1899); depositi funerari e strati legati a lavorazioni artigianali.
I risultati sono stati presentati alla stampa lunedì mattina nella sala “Bellieni” del Rettorato. Sono intervenuti Andrea Fausto Piana, prorettore vicario, Isabella Fera, soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Sassari e Nuoro, Nadia Canu, funzionaria responsabile tutela archeologica territorio di Sassari, e Simone Loddo, dirigente dell’area appalti ed edilizia dell’ateneo. Presenti anche il professor Marco Milanese, ordinario di Archeologia Medievale all’Università di Sassari, e il sindaco Giuseppe Mascia.
Al cantiere si lavora almeno dal 2012. Si tratta di un intervento in un’area pluristratificata. Il palazzo del Collegio gesuitico ingloba le mura cittadine, compresa la Torre Tonda, diversa da tutte le altre 40 che formavano la cinta muraria. Compredeva anche la Torre della munizione, dove nel 1614 venne aperto il quinto accesso alla città, quello di Porta Nuova, voluto per agevolare l’afflusso dall’esterno degli studenti del Collegio gesuitico. Costa però segnalava all’interno la presenza di un’altra torre e adesso si sa dove era posizionata. Questa costituisce la scoperta principale. La sorpresa è stata però scoprire una struttura muraria totalmente diversa come posizione. Si tratta di 11 metri conservati della fondazione di questo tratto, che porta a ipotizzare che si tratti di una fase precedente delle mura mentre la torre appartiene a una fase successiva. Una fonte documentale del 1236, in particolare un atto notarile, fa riferimento alle mura. E gli stessi statuti dicono che ogni anno si doveva completare una porzione di mura. «Il punto è che dobbiamo vedere la costruzione delle mura secondo un approccio dinamico, non è avvenuta in un unico momento. Ci sono state variazioni, demolizioni e altro di cui non c’è traccia nelle fonti scritte. Invece scavando le aree vicino alle mura vengono fuori delle novità che ci danno un quadro più interessante», ha spiegato il professor Marco Milanese.
Sono stati inoltre rinvenuti scheletri, soprattutto di infanti e adolescenti. E poi resti e frammenti di ceramiche utilizzate dai sassaresi, che provengono da aree anche lontane, come Catalogna, Toscana, Liguria e Lazio, che ci mostra un mercato molto vivace e non autoreferenziale. Il Collegio gesuitico risale al 1570 e nell’area era necessario anche colmare diversi spazi portando tutto allo stesso livello. Ecco perché, come accaduto anche in altre parti del centro storico, è facile rinvenire materiali così variegati. «Nelle case del sassaresi del 1500 questi oggetti prodotti anche a lunghe distanze erano probabilmente usati come cose non eccezionali ma nel quotidiano», ha aggiunto Milanese. E così le ciotole sono dell’area ligure, da Savona, e sono reperti che guardano verso il Medioevo. Qualche frammento riporta una sorta di marchietto di proprietà. Altri pezzi provengono da Montelupo Fiorentino, uno dei principali luoghi di esportazione di ceramiche del 1500. I frammenti smaltati hanno un’origine catalana, che poi era la principale via del commercio. Ci sono anche resti di produzioni sarde, in particolare di Oristano, mentre le maioliche sono sassaresi, rinvenute anche nello scavo del fossato del castello una ventina di anni fa. Tutto questo va collocato storicamente in un’epoca nella quale il re Filippo II diede grande impulso a interventi in Sardegna, da proteggere dall’espansionismo franco-turco, con grandi lavori, che spostarono però il riferimento geografico da Barcellona, come era stato fino ad allora, a Madrid.
Le indagini sono dirette dalla funzionaria archeologa Nadia Canu, con esecuzione affidata alla cooperativa Musarte (archeologa sul campo Sara Solinas) e il supporto scientifico del professor Marco Milanese. I materiali verranno studiati nel Laboratorio di Archeologia Medievale in collaborazione con il funzionario della Soprintendenza Matteo Pipia, mentre analisi genetiche dei resti scheletrici saranno curate dal professor Francesco Cucca, ordinario di Genetica Medica. Il progetto di ristrutturazione è seguito dall’Area Appalti ed Edilizia dell’Università di Sassari, RUP l’ingegner Simone Loddo, con la direzione dei lavori dell’architetto Piersimone Simonetti.
L’intervento costituisce un’occasione storica per l’ateneo per mettere a sistema tutto il complesso architettonico dell’amministrazione centrale, con l’impegno preso con il recupero dell’Ex Estanco ricongiungo alla struttura centrale giunto quasi a conclusione. L’impegno di spesa iniziale era di 7,5 milioni di euro (finanziati dal Fondo per lo Sviluppo e la Coesione), per l’affidamento alla ditta Gedi di Altamura, saliti fino ai 13 milioni e mezzo finali. Per completare gli scavi ci vorranno però altri finanziamenti.
Alla fine negli spazi così recuperati sarà possibile completare la struttura amministrativa dell’Università. Al centro storico lavoreranno 350 persone, comprese le segreterie studenti. La piazza dell’Estanco sarà la piazza degli studenti, con una caffetteria e uno spazio studio, aperta alla città durante il giorno.

«Come città siamo contenti e ben felici che si scoprano elementi che ci fanno colmare i vuoti dal punto di vista della documentazione e delle fonti storiche. L’evoluzione di come Sassari è stata costruita non ha quel rilievo statico rispetto ad altre città del territorio – ha detto al termine il sindaco Giuseppe Mascia –. Iniziamo ad avere in mano qualcosa per ricostruire cosa è accaduto nel centro storico medioevale, la parte più complicata del cuore della città. Vorrei che tutto questo processo abbia però la compartecipazione di tutte le istituzioni. Non dobbiamo aspettare che passino tre sindaci o tre rettori per avere qualche risultato, abbiamo bisogno di una unità e di un risultato veloce. Occorre una piazza che sia tale e non un “garage diffuso” come è stato detto recentemente in occasione della presentazione delle idee sulla sistemazione della piazza».
I reperti, a causa della profondità e delle condizioni di conservazione, non saranno visibili in modo permanente, ma verranno protetti sotto la nuova pavimentazione e resi ispezionabili tramite botole. L’Università e la Soprintendenza si impegnano a valorizzare e comunicare questi risultati attraverso pubblicazioni scientifiche e strumenti digitali innovativi come modelli 3D, proiezioni e video mapping, in un più ampio progetto dedicato alla ricostruzione e divulgazione della storia urbana di Sassari.








