Ai Bertas il Candeliere d’Oro

Alla band sassarese il riconoscimento speciale di quest’anno. Il Premio della nostalgia a Francesco Bellinzis (d’Oro) e Filippo Usai (d’Argento)

Sassari. È ritornato il “Premio della nostalgia”, come è chiamato il Candeliere d’oro e d’argento, riconoscimento rivolto al sassarese che vive da più tempo all’estero o nella Penisola, istituito nel 1963 dall’allora presidente della Pro Loco Raimondo Rizzu e dal capocronista della Nuova Sardegna Roberto Stefanelli. A questo premio se ne affianca da diverso tempo un altro, particolarmente sentito dai sassaresi, il Candeliere d’Oro Speciale, un riconoscimento straordinario attribuito a chi, anche non sassarese, ha portato lustro e prestigio alla città di Sassari. Per il 2022 lo vincono i Bertas, band sassaresissima, che ha scritto la storia della musica in Sardegna e non solo. Dopo due anni di stop a causa della pandemia allora si riparte. L’evento, proposto in questa edizione in piazza Santa Caterina, anticipa la Faradda del 14 agosto. Stavolta, a dire il vero, si è optato per una (giusta) anticipazione di un giorno, sottraendo così il Premio a una eccessiva compressione informativa a ridosso della Festha Manna.

«È un piacere oltre che un onore potervi accogliere in questa piazza dopo i periodi difficilissimi che abbiamo attraversato – ha detto il sindaco Nanni Campus, in apertura di serata – Guardiamo avanti e ringraziamo quanti in questi due anni hanno combattuto e sofferto. Sappiamo che i problemi non ci mancano, abbiamo inoltre il rombo dei cannoni e il rumore delle bombe nei media. Ma è altrettanto vero che la nostra città ha meritato di riprendere a vivere, ha saputo fare comunità quando era necessario. E quest’anno la nostra Festha Manna sarà la più bella di tutti i secoli, anche per un altro motivo. Devo ringraziare i mesi di lavoro fatti dalla Commissione Storica, dall’Intergremio e dai gremi perché si è riusciti a disperdere difficoltà e polemiche stratificate negli anni. Stavolta tutti i gremi sciogliereanno il Voto. Ecco perché sarà una Discesa storica. Quella di stasera è sì la festa della nostalgia ma anche la festa della gioia, per prepararci alla festa per l’Assunta»

Francesco Bellinzis, Candeliere d’Oro

E allora innanzitutto i due Premi della nostalgia. Il Candeliere d’Oro, attribuito al sassarese che da più lungo tempo vive all’estero e ritorna per la Faradda, quest’anno è andato al giovane Francesco Bellinzis – classe 1983 – emigrato dal 12 ottobre 2012 a Barcellona. «Per noi – ha commentato Bellinzis, accompagnato dal figlio Michele – è un ritornare alle origini. È stato un anno difficilissimo anche per noi che siamo rimasti all’estero. Sapere di non poter tornare a casa per via del covid era una cosa dolorosa».

Filippo Usai, candeliere d’Argento

Il Candeliere d’Argento, per chi vive nel Continente, è stato invece consegnato a Filippo Usai, nato a Sassari il 31 gennaio 1948 e emigrato dal 3 giugno 1960, residente a Torino. «Sassari ti rimane nel cuore anche dopo una vita che sei fuori – ha detto Usai –. Ho partecipato in passato e mi aspettavo il premio. Gli anni che ho vissuto fuori sono tanti, 62». Al secondo posto Grazietta Marras e al terzo Roberto Pirino: per loro (in particolare per Pirino, in lizza anche nelle scorse edizioni) sarà per la prossima volta.

Presentata inoltre la giuria del Premio: lo storico Antonello Mattone, il giornalista Cosimo Filigheddu, il presidente dell’Intergremio Fabio Madau, l’assessora comunale alla Cultura Laura Useri, Antonio Solinas, dirigente del Settore Cultura, oltre ovviamente al sindaco Nanni Campus.

Ma i protagonisti della serata sono stati loro, i Bertas. Per l’occasione, agli attuali componenti della band, Mario Chessa, Enzo Paba e Marco Piras, si sono aggiunti due storici membri come i fratelli Costa, Antonio e Carlo.

«Ci formammo che si era d’estate, nel 1965, ma per il battesimo del palco passò qualche mese: fino al 19 dicembre di quello stesso anno. Da allora la nostra storia non è stata tanto diversa dalle storie di tutti gli uomini, musicisti compresi, ed ha alternato momenti spensierati, talvolta esaltanti, ad altri difficili, anche molto, ed incerti quando non faticosi. Ma siamo andati avanti!». Parole con le quali i Bertas si raccontano, affidate a una nota di Palazzo Ducale, che ha spiegato i motivi del Candeliere d’Oro alla band sassarese. La scelta non è infatti «legata esclusivamente all’importanza che il gruppo riveste per Sassari e per tutta la Sardegna, dal punto di vista culturale e identitario. L’Amministrazione Comunale desidera infatti che il premio conferito ai Bertas, la band più longeva tra quelle che sono nate e hanno operato a Sassari e che ovviamente scelsero proprio Sassari per festeggiare i 50 anni di carriera, sia per il loro tramite un riconoscimento pubblico e un forte incoraggiamento per tutti quei gruppi musicali e quelle realtà culturali che fanno bella e ricca la vita della città e della Sardegna e che a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia hanno sofferto molto per l’impossibilità di lavorare e di incontrare il proprio pubblico. Un modo con cui l’Amministrazione Comunale, a nome di tutta Sassari, esprime l’auspicio che la loro arte continui a sostenere la voglia di rinascita e ripresa dei cittadini e il desiderio di fare comunità in maniera solidale e inclusiva».

Non poteva mancare il momento musicale. I Bertas, subito dopo la consegna del Candeliere d’Oro, hanno eseguito tre conosciutissime canzoni del loro repertorio: “Fatalità”, “Badde lontana” e “Como cheria”.

Anche quest’anno la serata, presentata dalla giornalista Grazia Sini, responsabile dell’Ufficio stampa del Comune, è stata aperta dal bando recitato in sassarese (con l’immancabile “Arruglia!”) da Angelino Russo, anche al tamburo, insieme al flauto di Cristian Zedda: a loro il compito di accompagnare i passaggi della proclamazione dei vincitori.

Chi sono i Bertas. Il gruppo nasce per volontà dei fratelli Antonio e Carlo Costa e proprio grazie alla loro iniziativa la band partecipò al concorso musicale Sardegna Canta, nel 1966, che la segnalò alla RCA e le valse il primo contratto discografico. Difficile riuscire a inserire in uno schema predefinito lo stile di un gruppo che negli anni è riuscito a spaziare dalla musica lirico-sinfonica alla tradizione melodica, passando per l’hip-hop, la canzone d’autore, la sperimentazione elettronica; da Simone Weil a Dostoevskij, per quanto attiene le ispirazioni letterarie.

Era il 1973 quando i Bertas decisero di usare la lingua sarda per le proprie canzoni, cosa decisamente inusuale, all’epoca, per un gruppo pop. Il brano era Badde Lontana (stampato poi, su 45 giri, nel febbraio del 1975), ancora oggi uno dei loro più grandi successi. Certo, quando la registravano, Mario Chessa, Enzo Paba e Marco Piras – che di essere i Bertas non hanno mai smesso ed erano entrati a farne parte integrante agli albori del decennio – non immaginavano di quanta strada, quante canzoni e migliaia di concerti sarebbe stato costellato il loro cammino, un cammino che li vede ancora oggi propositivi e col pensiero al futuro, a giudicare dalla quantità di progetti che affrontano da protagonisti, specialmente in questo terzo millennio.

Antonio Costa lasciò il gruppo nel 1979 (e non solo la line up live, come già accaduto fra il 1972 e il 1976), per dirigere la Corale Luigi Canepa. Carlo Costa appese invece il basso al chiodo nel dicembre del 2016, con una permanenza all’interno del gruppo durata ben 51 anni.

Tra le personalità significative che resero i Bertas ciò che ancora oggi sono e rappresentano per l’intero panorama culturale, loro stessi tengono particolarmente a ricordare Giuseppe Fiori, che da batterista fu in organico per oltre dieci anni e al quale è stata anche dedicata l’ultima uscita discografica (Non si vive una volta sola – 2021), a memoria della sua recente scomparsa.

Andando avanti spediti, non possiamo però trascurare quello che è stato il vero anno di svolta nella storia dei Bertas: certamente il 1993, grazie alla pubblicazione di Amistade, con uno spostamento radicale di scrittura. Amistade, e Como Cheria, che risultò il brano di punta dell’album ed è divenuta un’indiscussa canzone simbolo della band, segnarono un vero e proprio rilancio. È con Amistade, appunto, che i Bertas inaugurano un nuovo corso, mettendo da parte le cover. Fu però con Tottumpare – resoconto di alcune esibizioni live affiancati dalla Corale Antonio Vivaldi – che i Bertas divennero il primo gruppo di musica leggera a ricevere ospitalità al Teatro Comunale di Cagliari.

Dalla Corale Vivaldi si passò quindi a un gruppo vocale di sedici elementi e a una piccola orchestra da camera, con il progetto Coros in Coro.

Tra le collaborazioni si ricordano quelle con le Balentes, Beppe Dettori, la Corale Canepa, i Cordas et Cannas, Paolo Fresu, Mark Harris, Piero Marras, Franca Masu, Marisa Sannia, Gavino Murgia e i Tazenda.

Con Sa Missa (concepita insieme con la Corale Canepa – 2006), la musica dei Bertas (in sardo logudorese i testi), arrivò fino in Brasile e a Londra.

Il successo è proseguito negli anni, tra nuove sperimentazioni, generi e collaborazioni, fino agli anni della pandemia, che tutto ha rallentato, quando non frenato o stravolto.

E questi, nonostante le citate difficoltà, sono stati anni intensissimi con una serie di progetti per il teatro e nuove canzoni, fra le quali vale la pena ricordare A mio padre piaceva Pantani (inserita nell’album Cambia il Mondo, del 2018) alla quale sono molto legati e che gli sta rinnovando l’affetto del pubblico, se mai ve ne fosse stato bisogno.

E se l’inizio di questa scalata verso il successo è stata l’intuizione di cantare in sardo, oggi gli stessi Bertas sottolineano la volontà di cantare e riscoprire l’italiano: «Ieri, quando nessuno cantava in limba, l’abbiamo sostenuta a dispetto di qualche naso storto, perché credevamo nella sua bellezza e musicalità, prima ancora che per assecondare una nascente spinta identitaria; oggi, in tempi in cui il sardo, in tutte le varianti possibili, dilaga nel mondo sardista della canzone, spesso per conformismo più che per scelta, ci stiamo riappropriando di una parte di noi, una parte che reputiamo significativa e importante. Quella che ci permette di essere qui a parlare con tutti, dalla nostra terra; o meglio: dalle nostre terre».

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