La prima volta del “Cappello di paglia” di Nino Rota

La Stagione lirica dell’Ente Concerti Marialisa de Carolis si è aperta con la farsa musicale del maestro milanese. Una rappresentazione riuscita e apprezzata dal pubblico sassarese

Sassari. “Il cappello di paglia di Firenze” è una sorpresa. Un dolce musicale, un viaggio nella tradizione, quasi un “pasticcio” come si diceva nel periodo barocco. Ma non perché sia un confuso assemblaggio di brani presi qua e là. Tutt’altro. È un vero e proprio divertissement, che riprende idee e atmosfere musicali di altre epoche per svilupparle in un mondo di suoni tutto personale. Nino Rota, grande compositore di colonne sonore ma anche di canzoni entrate nella storia della tv italiana (chi non conosce “Viva la pappa col pomodoro” cantata da Rita Pavone? Già, era sua, su testo di Lina Wertmuller) come Ennio Morricone, altro gigante della musica italiana del ‘900 (e oltre), nel “Cappello” pesca a piene mani nel passato, citando Rossini (impossibile non riconoscere il “Barbiere” e “L’italiana”), Verdi, Puccini e addirittura Wagner, più qualcosa che ricorda il Carosello ma soprattutto un paio di passaggi che anticipano le splendide colonne sonore felliniane, da “La strada” ad “Amarcord”, e qualcosa del leggendario “Gattopardo” di Visconti nei ballabili.

Una farsa musicale, per la prima volta in Sardegna, che venerdì e domenica al Teatro Comunale di Sassari ha aperto la Stagione lirica 2019 dell’Ente concerti “Marialisa de Carolis”. Una proposta che ha strappato i convinti applausi del pubblico. E del resto non poteva essere diversamente, con l’Orchestra dell’Ente Concerti ben diretta da Federico Santi e un allestimento convincente, preparato nel 2017 per il Teatro di Pisa, con la regia di Lorenzo Maria Mucci.

Per Nino Rota non si è trattato di una prima volta a Sassari. Una decina di anni fa, quando ancora la Stagione lirica si faceva al Verdi, furono rappresentati “I due timidi” e “La notte di un nevrastenico”. Due opere in linea con le tendenze compositive dell’epoca, gli anni ’50, a differenza del “Cappello”, più leggera e all’orecchio apparentemente tradizionale. Una facilità all’ascolto che in realtà nasconde una elaborata trama armonica.

La farsa “Il cappello di paglia di Firenze” fu scritta dal maestro milanese nel 1946, su libretto suo e della madre Ernesta Rinaldi, e andata in scena per la prima volta solo nel 1955 al Teatro Massimo di Palermo. Una commedia degli equivoci, tratta da “Un chapeau de paille d’Italie”, scritta dai francesi Labiche e Michel nel 1851. L’allestimento sposta però la vicenda in uno studio cinematografico degli anni ’20 (e infatti René Clair fece davvero un film col medesimo titolo nel 1928), con una vecchia cinepresa ma soprattutto finti ambienti, elementi intercambiabili, trucchi approssimativi e la precarietà delle scenografie. Una soluzione davvero riuscita. Bene il cast, composto in larga parte da giovani cantanti sardi: il tenore Mauro Secci (Fadinard), il soprano Ilaria Vanacore (Anaide), il basso Francesco Leone (Nonancourt), i tenori Marco Puggioni (Felice) e Gianluca Moro (Vezinet); con loro il soprano Elisabetta Scano (Elena), il basso Marco Bussi (Beaupertuis), il più applaudito, il mezzosoprano Aloisa Aisemberg (La baronessa di Champigny), il baritono William Hernandez (Emilio), il tenore Bruno Lazzaretti (Achille di Rosalba/Una guardia), il soprano Veronica Abozzi (La modista) e il baritono Fabrizio Mangatia (Il caporale). In scena anche uno dei componenti dell’orchestra, Manuel Dammicco, che ha interpretato il ruolo recitante di Minardi, violinista atteso per un concerto a casa della baronessa. Il Coro dell’Ente è stato preparato da Antonio Costa. Le scene erano di Emanuele Sinisi, i costumi di Massimo Poli e le luci di Tony Grandi.

Il prossimo appuntamento in cartellone è fissato per il 18 ottobre (con replica il 20): “Pagliacci” di Ruggero Leoncavallo, in un nuovo allestimento dell’Ente Concerti in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti “Mario Sironi”.

Luca Foddai

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